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Glossario

A

a

Grammatica

La preposizione a si poteva usare, al contrario di oggi, davanti alla persona da cui ci si reca: andrò al padre (Novellino). Non era obbligatorio invece l’uso di a con i nomi di città: in Messina tornati (Boccaccio). Nella lingua antica si usava a (invece di in o per) per indicare uno stato in luogo indeterminato: Passero solitario, alla campagna / cantando vai (Leopardi). Nella lingua letteraria è diffuso fino al ‘900 l’uso di a (invece di da) per esprimere un complemento di qualità: Si distinguono ai ciuffi arruffati, ai cenci sfarzosi (Manzoni).

accusativo con l'infinito

Grammatica

In analogia con il latino, era possibile (e nell’italiano letterario lo è stato almeno fino all’800) un costrutto oggettivo all’infinito con un soggetto proprio che, come in latino, doveva essere obbligatoriamente espresso: stima la terra esser essa ancora uno de i corpi celesti (Galileo)= stima che la terra sia uno dei corpi celesti. Questa costruzione era frequente dopo verbi del giudicare, sentire, pensare e volere e dopo forme verbali impersonali.

accusativo di relazione

Grammatica

Detto anche accusativo alla greca, perché tipico di questa lingua, poi accolto nel latino. E' un costrutto predicativo per cui un complemento diretto dipende da un participio o da un aggettivo. E' di uso prettamente letterario ed è oggi desueto. Famosissimo l'esempio manzoniano dall'Adelchi: Sparsa le trecce morbide / sull'affannoso petto.

aere

Lessico

s.m., aria. Dal latino aĕr, aĕris. Poetismo diffuso in tutta la tradizione lirica. Si incontrano, prima del ‘500, anche le forme aier, aire. aura.

aferesi

Retorica, Fonetica

Caduta di una vocale o di una sillaba all’inizio di una parola. Può essere segnalata da un apostrofo: ‘nverno = inverno, ‘l = el. apocope, elisione.

allegoria

Retorica

Procedimento simbolico, per il quale un elemento concreto rappresenta concetti astratti. L’allegoria è rigidamente codificata, in base ad un codice che si presuppone noto ai lettori (per es. la donna bendata con la bilancia in mano rappresenta la giustizia) oppure in base ad un codice elaborato dall’autore (per es. il veltro nella Commedia di Dante).

allitterazione

Retorica

Ripetizione di uno o più fonemi all’inizio, o meno comunemente all’interno, di parole in successione. (che m'avea di paura il cor compunto, Dante). assonanza, consonanza, paronomasia.

allotropi

Lessico

Di alcune parole coesistono, anche all’interno della stessa opera, due o più forme concorrenti: doglia/duolo, virtù/virtude/virtute, aere/aria. Spesso una forma è sentita come più poetica rispetto all’altra; vedi per esempio la coppia augel/uccello: il secondo termine è poco presente nella tradizione poetica.

alma

Lessico

Anima. Voce poetica assai diffusa fino all’800, utilizzata spesso anche per motivi di metrica.

alternanza ie/e

Fonetica

Le forme dittongate in sillaba tonica coesistono con quelle monottongate: lieve/leve, pensiero/pensero, quieto/queto, la forma dittongata è quella che si è affermata. Nei casi in cui il dittongo è preceduto dal nesso occlusivo + liquida (br-, tr-, pr-) invece, è prevalsa la forma monottongata: priego/prego, brieve/breve.

alternanza sorde/sonore

Fonetica

Frequenti lungo tutto l’arco della tradizione letteraria i doppioni c/g (lacrima/lagrima), p/v (sapere/savere, sopra/sovra), t/d (nutrire/nudrire). Spesso le varianti con la consonante sonora, oggi percepite come arcaiche, erano sentite come più poetiche.

alternanza vocalica in protonia

Fonetica

Alternanza tra due vocali nella sillaba che precede quella tonica, quella cioè dove cade l'accento. Alcuni termini oscillano perché un allotropo si ritiene più letterario (officio) dell’altro (ufficio), vertù/virtù, altri perché si mantiene nella lingua poetica la o oppure la e etimologica (occider, polito, securo). Non mancano però le forme innovative rispetto al latino: accanto a rumore <rumor troviamo fino all’800 romore. Propria del fiorentino è la variante in a nel caso danari/denari. L’alternanza è frequentissima lungo tutto l’arco della letteratura italiana e si presenta ancora oggi in alcuni casi: obbedire/ ubbidire.

anacoluto

Grammatica

Frattura nella composizione della frase, per cui la seconda parte di essa devia dalle premesse poste nella prima: quelli che moiono, bisogna pregare Iddio per loro (Manzoni).

anadiplosi

Retorica

Anche reduplicatio. E’ la ripetizione dell’ultima parola o dell’ultima sequenza di parole di una frase o di un verso all’inizio del successivo verso o segmento di frase. L’anadiplosi è anche possibile quando non c’è contatto fra le sequenze ripetute, o quando l’una varia lievemente l’altra.

anafora

Retorica

Ripetizione della stessa parola o di una sequenza di parole all’inizio di versi o di enunciati successivi. Per me si va nella città dolente, / Per me si va nell’etterno dolore, / Per me si va tra la perduta gente (Dante). epifora.

anastrofe

Retorica

Inversione dell’ordine lineare del discorso: d’onesto sudor bagnato il volto (Poliziano). iperbato.

anfibologia

Retorica

Ambiguità di un enunciato dovuta alla semantica (il verbo errare nel doppio significato di vagare e sbagliare), o alla sintassi

antifrasi

Retorica

Si afferma qualcosa per sostenere in realtà il contrario. E’proprio un bel tipo!

antitesi

Retorica

Contrapposizione di concetti o termini di significato opposto. Or di fuoco ora sono di ghiaccio (Da Ponte). ossimoro.

antonomasia

Retorica

a) Sostituzione di un nome proprio con un appellativo o una perifrasi, che vengono poi standardizzati: l’eroe dei due mondi = Garibaldi, lo Stagirita = Aristotele; b) sostituzione di un nome comune con un nome proprio: Giuda = traditore. perifrasi.

apocope

Retorica, Fonetica

Caduta in fine di parola di a) una vocale dopo le nasali /m/, /n/ o le liquide /l/, /r/, frequentissima fino a tutto l’800 e oltre, sia in poesia che in prosa (arder = ardere, veder = veder, ben = bene, fratel = fratello). Oggi l’apocope è limitata a casi obbligatori (buon) oppure ad alcuni infiniti (far vedere, aver freddo); b) una sillaba. L’apocope sillabica è spesso segnalata da un accento o un apostrofo, è diffusa fino al ‘900 ( <fece o fede, mo’ <ora o modo, piè <piede, vèr <verso). Oggi solo in alcune espressioni idiomatiche (a ogni piè sospinto, a mo’ di). aferesi, elisione.

apostrofe

Retorica

Inizio di discorso rivolto ad interlocutore, reale o figurato, spesso in forma di esortazione, ammonizione, invocazione. O tosco che per la città del foco / vivo ten vai (Dante).

appo

Grammatica

Preposizione usata sia in poesia che in prosa fino all'800 soprattutto con il significato di presso, accanto, di fronte a: e la lucciola errava appo le siepi, Leopardi; che mi scusi appo a voi, Petrarca.

arme

Lessico

L’arme e le arme è voce poetica, riscontrabile però anche nella prosa, sopravvissuto a lungo e soppiantato da arma/armi.

articolo

Grammatica

Le maggiori differenze rispetto all’italiano moderno si riscontrano nell’uso dell’articolo maschile. Le tre forme odierne dell’articolo maschile singolare, il, lo, l’ coesistono con le forme ‘l e el. Nell’italiano antico, al contrario di oggi, la scelta dell’articolo dipendeva non solo dal fonema che seguiva, ma anche dal fonema che precedeva l’articolo. Lo si usava di norma dopo consonante (per lo mar) e quindi dopo le forme apocopate frequentissime in poesia (dir lo vero) oppure all’inizio di frase. Il era ammesso se si appoggiava ad una vocale precedente: bassando il viso (Dante). La forma el (plurale e’) è propria del fiorentino quattrocentesco.

Dell’ articolo maschile plurale oltre a i e gli, esistevano le forme li e e’ oggi scomparse (e li occhi no l’ardiscon di guardare, Dante).

Soltanto a partire dal ‘500 si affermeranno le norme introdotte da Bembo: le forme el, e’, li, si estingueranno progressivamente, mentre lo sarà accettato solo davanti ad s impura (lo spazio); naturalmente rimane l’ eliso davanti a vocale. La forma ridotta per aferesi ‘l permane nella lingua poetica fino a tutto l’800. In cinque casi, nella lingua poetica, l’articolo poteva essere omesso: con i nomi astratti (Pace non trovo, e non ho da far guerra, Petrarca), con i nomi di paesi , dopo come, quasi o altre locuzioni che introducono un paragone (Caddi come corpo morto cade, Dante), con l’aggettivo indefinito tutto e prima del possessivo (Lo Navarrese ben suo tempo colse, Dante).

assai

Lessico

Avverbio di quantità, equivalente a molto, usatissimo nell’italiano antico, anche come aggettivo: assaissime volte (Bandello).

assimilazione

Fonetica

Assortimento di un fonema con un altro contiguo. Fenomeno frequente nel passaggio dal latino al volgare: octo>otto, e nei dialetti meridionali quandum>quanno.

assonanza

Retorica

Identità della vocale tonica e dell’atona finale: amOrE / nOmE. Può dare origine a una rima imperfetta. consonanza, allitterazione, paronomasia.

augello

Lessico

Uccello. (Plurale: augelli o augei). Tipico allotropo poetico di origine provenzale . Era largamente diffuso nella lirica fino all’inizio del ‘900. gallicismi/provenzalismi, allotropi .

aura

Lessico

Nell’uso letterario antico significa 1)aria, brezza, 2)respiro: nella bocca/ond’esce aura amorosa (Tasso), 3)spirito: scendi piacevol alito/aura consolatrice (Manzoni). aere.

avere

Grammatica

Indicativo. Presente: 1a dal siciliano deriva la forma aggio; limitato al toscano antico è abbo; 2a ai (senz’acca), 3a have/ave dal latino <habet, la 4 a avemo e aviamo, per la 6a si noti la forma apocopata han. Imperfetto: diffusissima fino a tutto l’800 la 1a in –a: avea, aveva; per la 6a è da registrarsi avìeno. Di origine toscana le forme senza labiodentale del futuro e condizionale: arò, arei. Si incontrano anche le forme non sincopate averò, averei. Sicilianismo, a lungo vitale, sono le forme del condizionale avrìa (1a e 3a) avrìano (6a). Congiuntivo limitatamente al ‘500 incontriamo nel presente abbi = abbia e nell’imperfetto: 1a avesse e 3a avessi.

Da notare il costrutto avere a/da + infinito = dovere. Se aveste a rifare la vita che avete fatta (Leopardi).

Avere poteva essere usato anche come ausiliare nei verbi riflessivi. Avere si incontra a volte nel senso di esserci: un giardin v’ha (Tasso) = c’è un giardino.

avverbi di luogo

Lessico

Qui una lista dei più diffusi avverbi, preposizioni e locuzioni di luogo: colà, costì, ivi/quivi = là, lì; appresso = vicino, onde/donde = da dove, quinci= da qui, quindi, quinci e quindi = da una parte e dall’altra, indi = da lì, giuso = giù, suso = su, in su = sopra, d’in su = dall’alto, drento = dentro, di(n)nanzi/innanzi = davanti, (da) lungi, lunge = lontano, infra = fra. Alcune espressioni si trovano anche in accezione temporale.

avverbi di tempo

Lessico

Fra i più frequenti avverbi, preposizioni e locuzioni temporali nell’italiano letterario ricordiamo: dianzi/anzi/in(n)anzi, avanti, innante, pria = prima, appresso, dipoi, indi, poscia, quinci, indi = dopo, sovente = spesso, di subito=subito, ognor(a) = sempre, tosto, mantenente, incontanente = subito, giammai, unqua = mai, omai = ormai, da lì a qualche tempo, gran tempo, infra = entro, alquanto = a lungo, (da) lungi,lunge = lontano, a lungo. Alcune espressioni si trovano anche in accezione locativa.

C

cagione

Lessico

In uso ancora oggi, anche se soprattutto in formule ed espressioni idiomatiche, nel senso di causa, motivo o ragione. Arcaici invece i significati di pretesto, colpa, malattia.

canto

Metrica

Unità strutturale e tematica in cui si possono suddividere i poemi, ciascuna comprendente una serie di strofe.

canzone

Metrica

Componimento in versi, di solito endecasillabi e settenari in rima, formato da più strofe, o stanze, successive. La strofa si compone di fronte (2 piedi ciascuno di tre o quattro versi) e sirma o coda (unita o composta di 2 volte, ciascuna di tre versi). Tra fronte e sirma possiamo trovare un verso di raccordo chiamato chiave. La canzone può concludersi con una strofa a parte, detta congedo. Viene accolta in Italia seguendo il modello della canso provenzale, che però, al contrario della canzone, era accompagnata dalla musica. La canzone è, assieme al sonetto, il tipo di composizione lirica breve più diffuso nella tradizione lirica italiana dalle origini (scuola siciliana, stilnovisti, Dante e Petrarca) a tutto l’800 (Leopardi: canzone libera).

canzonetta

Metrica

Componimento poetico di contenuto più leggero della canzone classica, composto di versi più brevi, cantabili e ben ritmati. Sono canzonette o odi-canzonette (odi perché di contenuto più elevato) le arie del melodramma.

capitolo

Fonetica

Il capitolo o capitolo ternario è una composizione in terza rima, ovvero una sequenza di terzine su modello dantesco. Il capitolo quaternario è invece una forma diffusa nel ‘300 e ‘400 in strofe di quattro versi in serventese, cioè in una forma poetica che non appartiene alla lirica illustre.

captatio benevolentiae

Retorica

Parte iniziale di un componimento in cui il locutore/scrittore cerca di accattivarsi la simpatia dell’ascoltatore/lettore. Frequente nei poemi epici o nelle opere encomiastiche dedicate ad un patrono: Piacciavi, generosa Erculea prole, / ornamento e splendor del secol nostro, / Ippolito, aggradir questo che vuole / e darvi sol può l’umil servo vostro(Ariosto), ma anche nei prologhi di opere teatrali: Iddio vi salvi, benigni uditori. (Machiavelli).

chiasmo

Retorica

Figura sintattica per cui elementi della frase vengono disposti per coppie incrociate. Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori (Ariosto)

ché

Grammatica

Congiunzione causale equivalente a perché. Molto usata sia in prosa sia in poesia.

climax

Retorica

Progressione di parole di cui cresce o decresce (anticlimax) l’intensità.

coblas capfinidas

Retorica

Stilema codificato nella lirica provenzale per cui, in una canzone, una parola o espressione presente nell’ultimo verso di una strofa vengono riprese nel primo verso della strofa successiva.

condizionale presente

Grammatica

Assai frequenti la 1a e 3 a p. in –ía, adottate dalla lirica siciliana e poi riprese dalla lingua letteraria: faría = farei e farebbe, vorría = vorrei e vorrebbe. La 6 a p. è –iano; avríano = avrebbero. La forma in –ía si affianca a quella toscana in –ei fin dalle origini e sopravvive, seppur rara, in poesia, fino alla fine dell’800. La forma in –ei è presente anche in forma non sincopata haverei<avrei. Il condizionale presente era usato anche come futuro nel passato (disse che verrebbe), mentre oggi è obbligatorio il condizionale passato (disse che sarebbe venuto). Nel ‘500 il Bembo enuncia la regola toscana in -ei, -ebbe, -ebbono, ma legittima la forma in –ia nella lingua poetica.

congiunzioni

Lessico

Ecco alcune congiunzioni ricorrenti nell’italiano letterario e oggi desuete o usate diversamente. Conclusive: adunque, conciossiacosaché, però, per che = perciò onde/donde. Causali: perché, però che = siccome, imperocché, ché, poi che = perché, poiché. Concessive: qunatunque, ancora che, se ben. Finali: acciò che. Temporali: allorché, come = quando e appena, poi che = dopo che.

consonanza

Retorica

Ripetizione degli stessi suoni consonantici tra la vocale tonica e l’atona finale (reTTo / abbaTTi); può dare origine ad una rima imperfetta. assonanza, allitterazione, paronomasia.

cor/core

Lessico

Classico poetismo della letteratura italiana è un allotropo con monottongo, diffusissimo nella lirica almeno fino all’800.

cornice

Retorica

La cornice è, in una raccolta di novelle, la narrazione che contiene tutte le altre. Per esempio nel Decameron è la situazione di partenza: l’allegra brigata che, per sfuggire alla peste che devasta Firenze, si rifugia in collina. Per passare il tempo, ciascun narratore racconta per dieci giorni una novella, legata al tema previsto per ciascuna giornata. Nella cornice vengono fissate, più o meno rigidamente le regole del narrare. Non tutte le raccolte di novelle italiane hanno una cornice.

cui

Grammatica

Almeno fino a metà ‘800 nella lingua letteraria il pronome relativo cui è usato con valore di oggetto, e quindi nel significato di che. pronomi relativi.

cura

Lessico

Latinismo usato in varie accezioni: a) preoccupazione, b) affanno, c) impegno. Il verbo curare/curarsi, si incontra quasi sempre accompagnato dalla negazione, nel senso di non preoccuparsi, trascurare, non dare importanza a qualcosa .

D

dardo

Lessico

Francesismo molto diffuso nella lingua letteraria sia nel significato di freccia che in quello di fulmine, raggio: i dardi del sol (Parini)

deh

Lessico

Esclamazione che introduce invocazioni, preghiere, esortazioni, molto spesso usata per esprimere una richiesta. interiezioni.

desio

Lessico

Allotropo di desiderio, in uso ancora nella lirica del primo ‘900. Si incontrano, sebbene meno frequentemente, anche le forme disio (sicilianismo) e desire, non oltre il ‘400, anche i sicilianismi desianza/disianza.

di

Grammatica

Preposizione, spesso nella forma elisa d’. Mentre oggi è obbligatorio dopo certi verbi e prima di un infinito, nell’italiano letterario poteva mancare, Spero trovar, credendo guerire (Dante); d’altronde lo si trovava in casi dove oggi è assente: mi piace di raccontarvi (Boccaccio).

dialefe

Metrica

Fenomeno molto più raro della sinalefe, si ha quando, nel computo metrico, l’ultima sillaba uscente in vocale di una parola e la prima sillaba iniziante con vocale della parola successiva sono contate come due sillabe distinte. dieresi , sinalefe, sineresi.

diastole

Metrica

Avanzamento dell’accento, usato in poesia per ragioni metriche: umìle invece di ùmile. sistole.

dieresi

Metrica

Scissione in due sillabe, all’interno di una parola, di due vocali contigue che normalmente si computano come una sola sillaba. Riguarda prevalentemente i dittonghi ie, io. Viene usata per motivi metrici e può essere graficamente indicata da due puntini sulla vocale: ïo stancato e amendue incerti (Dante). dialefe, sinalefe, sineresi.

dimostrativi

Grammatica

Ricordiamo le forme: codesto (attiva oggi solo in Toscana)e la forma arcaica cotesto, cotal/cotale, siffatto. Esto è limitato al '200 e '300 (esta selva selvaggia e aspra e forte, Dante). Questi (=costui) singolareè ancora usato seppure in un italiano colto, nella stessa funzione nell'italiano letterario si incontra quegli. La forma apocopata del pronome quel (quel d'essi che ...) e quei che non sono più in uso. Esso, omonimo del pronome personale, si può usare come aggettivo rafforzativo davanti ad un nome (oggi con carattere marcatamente letterario) o, in forma per lo più invariabile oggi assolutamente desueta davanti a pronomi personali o fuso con essi: un'offesa fatta a essolui, Vico. Largamente attestato nella tradizione letteraria è il pronome desso, nel senso di proprio lui, dopo essere, parere, sembrare.

dittologia

Retorica

Coppia di elementi, soprattutto aggettivi o verbi, uniti solitamente dalla congiunzione e. Solo e pensoso ...(Petrarca) Quando il significato dei due termini coincide si parla di dittologia sinonimica: il vecchierel canuto e bianco (Petrarca).

dittongo au

Fonetica

Alcuni allotropi mantengono questo dittongo latino, in particolare alcuni latinismi poetici si conservano almeno fino all’800 anche per motivi di rima, come auro = oro, laude = lode, lauro = alloro ecc.

dittongo au in protonia

Fonetica

Il caso dei vocaboli con dittongo au in posizione antecedente alla sillaba accentata è per lo più un fenomeno che riguarda allotropi del ‘200 e ‘300, come caunoscenza, ma anche fortunati provenzalismi come augello, attestato nella lingua poetica fino al ‘900. Fra i latinismi da notare laudare, attivo almeno fino al ‘700.

doppie e scempie

Fonetica

L’oscillazione riguarda le parole che erano scempie in latino e geminate in toscano e viceversa: imaginem > -mm- / -m-, communis > -m-, -mm-. La variante con consonante scempia è spesso preferita in poesia: imagine, rinovare, inamorare.

dovere

Grammatica

Nell’indicativo presente troviamo fino all’800 sia in prosa che in poesia per la 1a p. la forma deggio, per la 2a persona dei, per la 3a p. dee (o dè/de’) e debbe, per la 6a p. denno e deono. Arcaici sono invece die = deve e dienno = devono. In uso solo fino al ‘600 le forme derivate dal tema dev-: devete, devria, dever ecc.

E

edizione critica

Grammatica

E’ l’edizione di un’opera che documenta il lavoro del filologo il quale, dopo aver confrontato i vari manoscritti e le diverse eventuali edizioni a stampa disponibili (collazione) e dopo averne stabilito l’autorevolezza e la gerarchia, propone la versione che ritiene più fedele all’originale e alle intenzioni dell’autore, la commenta e dà ragione delle sue scelte. Nelle edizioni critiche si adottano la grafia e la punteggiatura dell’italiano moderno.

eggio/-aggio

Grammatica

Forme dell’indicativo presente di 1a, 4a e 6a p. con l’affricata palatale sonora: veggio/veggiamo/veggiono (=vedo/vediamo/vedono), ma anche /g/: veggo/veggono, chieggio(=chiedo), deggio(=devo da dovere), seggio(=siedo). Ricordiamo anche il sicilianismo aggio=ho e caggio=cado. Queste forme ebbero notevole fortuna nella tradizione letteraria.

elisione

Fonetica

Caduta in fine di parola di una vocale davanti a parola che comincia per vocale. Viene indicata dall’apostrofo. Oggi si limita a pochi casi, tra cui articoli e pronomi, l’albero, un’oca, l’ammiro oppure dov’è, ce n’è. Certe varianti sono sentite come poetiche o desuete; s’apre. Nell’italiano antico trovava, soprattutto per ragioni di metrica, un’applicazione molto più ampia; vid’io, perch’elli. aferesi, apocope.

ellissi

Fonetica

Omissione di uno o più elementi grammaticali e lessicali necessari alla compiutezza, ma non ritenuti indispensabili per la realizzazione del significato del testo. In italiano, per esempio, è usuale l’ellissi del pronome soggetto davanti al verbo (vado a casa e non *io vado a casa). Tipica l’ellissi del verbo nella frase nominale: niente più scioperi, fine delle trattative in vista.

enallage e ipallage

Retorica

Una funzione grammaticale viene sostituita con un’altra, per es. quando l’aggettivo viene legato grammaticalmente ad un elemento che non è quello a cui dovrebbe essere legato semanticamente (altae moenia Romae = le mura dell’alta Roma, invece di: le alte mura di Roma).

enclisi pronominale

Grammatica

Posposizione del pronome personale atono che viene unito al verbo. Mentre nell’italiano moderno è possibile solo nei modi infinito, gerundio, participio e imperativo (averla, dicendoglielo, fattomi, scrivimelo!) e in rare formule fisse impersonali (vendesi), nei testi antichi l’enclisi può essere praticata anche nei modi finiti (e in parte provedette coloro che venuti v’erano e licenziolli, oppure: e parmi essere molto certo, Boccaccio). In base alla cosiddetta legge Tobler-Mussafia l’enclisi pronominale era obbligatoria all’inizio di frase (Meravigliossi la moglie esser figliuola del re d’Inghilterra, Boccaccio) o di verso (Stassi cheto ogni augello, Ariosto) e rimase tale fino al ‘400. Negli altri casi era facoltativa. L’uso si restringe progressivamente.

endecasillabo

Metrica

Verso la cui ultima sillaba tonica è la decima, normalmente di undici sillabe. L’endecassilabo è il verso più diffuso e costante nella tradizione poetica italiana. Si compone di due parti o emistichi tra i quali si trova una pausa o cesura. Ci sono un accento (ictus) fisso sulla decima sillaba ed altri accenti mobili; è obbligatorio che ci sia almeno un accento sulla quarta o sulla sesta sillaba. Per il computo delle sillabe: si conta l’ultima sillaba tonica più una. Quindi l’endecasillabo piano (accento sulla penultima sillaba) ha 11 sillabe, l’endecasillabo sdrucciolo (accento sulla terzultima sillaba) ha 12 sillabe, l’endecasillabo tronco (accento sull’ultima sillaba) ha 10 sillabe.A partire soprattutto dal '700 si afferma l'endecasillabo sciolto, cioè una serie di endecasillabi non legati dalla rima.

enjambement

Metrica

Si ha quando una giuntura sintattica o un sintagma non si concludono alla fine di un verso, ma proseguono nel verso successivo. Credo che ‘l resto di quel verno cose / facesse degne di tener conto (Ariosto).

epanadiplosi

Retorica

Ripetizione alla fine di un segmento in versi o in prosa della parola o sequenza di parole iniziali, copre la notte i nostri danni e l’opre/ de la nostra virtute insieme copre (Tasso), cosicché il testo si trova racchiuso fra due elementi identici o variati da poliptoto, paronomasia, figura etimologica.

epanalessi

Retorica

Ripetizione consecutiva di parole o gruppi di parole in un punto qualsiasi di un segmento di discorso (all’inizio, al centro o alla fine): Non son colui, non son colui che credi (Dante). Tra le forme ripetute può essere interposto un avverbio, un’interiezione, un elemento sintatticamente legato ad esse ecc.: non teme il fier, non teme (Tasso).

epifonema

Retorica

Enunciato sentenzioso posto di solito in chiusura di un testo, ma distinto chiaramente da esso.

epifora

Retorica

Ripetizione della stessa parola o di una sequenza di parole alla fine di versi o enunciati successivi: E mi dicono, Dormi!/mi cantano, Dormi! sussurrano,/ Dormi! Bisbigliano, Dormi! (Pascoli). Speculare all’epifora, e più frequente di essa, è l'anafora.

epifrasi

Retorica

Spostamento di uno o più elementi del discorso alla fine di un segmento discorsivo. L’elemento discorsivo è coadiuvato ai precedenti. iperbato

epitesi

Retorica,

Fonetica

Aggiunta di un fonema alla fine di una parola, nell’italiano antico per evitare l’ossitonia, cioè la parola accentata sull’ultima sillaba (fue = fu). Nell’italiano moderno sopravvive in forme dialettali: tramme = tram, sine = sì.

epiteto

Retorica

Designa in generale qualsiasi nome o aggettivo posto in funzione qualificativa. Particolare nella lingua letteraria l’uso ornamentale dell’epiteto, con cui si forniscono informazioni cha non hanno nesso con il contesto o sono superflue o pleonastiche (il bianco latte). Spesso il nesso fra l’epiteto e il nome a cui è riferito si cristallizza in un luogo comune: ombroso faggio, noderoso castagno (Sannazaro), le Furie anguicrinite (Parini)

essere

Grammatica

indicativo presente: nel toscano antico abbiamo una 1a persona semo e, attiva fino al ‘500, una 6a persona enno. Nell’imperfetto indicativo è diffusa la 1a persona era (ma la desinenza in –a era comune a tutte le coniugazioni, su modello latino). Per quanto riguarda il passato remoto per la 2a e la 5a persona si trovano i tipi fusti e fuste, per la 3a persona fue, per la 6a furo e, dal toscano antico, ma vitali a lungo, le forme foro, fuoro e furno. Nel futuro troviamo le forme, nella lingua poetica attive fino all’800, della 3a e 6a persona fia e fiano (o: fie e fieno). Il congiuntivo presente ha una 2a persona sii e una 6a sieno, in uso accanto a siano fino al ‘900. Il congiuntivo imperfetto presenta anche tipi con la u: fussi, fusse ecc. . Nel condizionale, molto diffuso, accanto a sarei, il tipo siciliano saria (1a e 3a persona ) e sariano o sarian (6a). Più antica la forma fora, forano (lungo fora a raccontarve (Petrarca). Nel participio passato, accanto a stato, si trovano nella lingua trecentesca le forme essuto e la sua variante aferetica, suto. Aferetica è anche la forma arcaica del gerundiosendo (aferesi). Il verbo essere si poteva anche usare in forma pronominale, pronomi riflessivi.

F

fare

Lessico

Le variazioni più frequenti rispetto alla coniugazione moderna del verbo sono fo = faccio, le forme apocopate:, fan = fanno, fe’ = fece (Siena mi fé, disfecemi Maremma. Dante), inoltre fecion, fero = fecero e l’infinito far, tuttora in uso (apocope). Al gerundio si poteva usare la forma con raddoppiamento: faccendo.

favellare

Grammatica

Allotropo di parlare, viene dal latino <fabellare. Può avere anche il significato transitivo di esprimere. Si trova anche sostantivato: Grande fu tra le donne il favellare (Boccaccio). Il sostantivo favella, invece, può essere usato sia nel significato di lingua: questa moderna favella (Dante) che in quello di modo di parlare: la tua chiara favella (Dante), allotropi.

fiata

Lessico

Nel significato di: volta, occasione. Molto frequente nella tradizione lirica. Spesse fiate (Dante)

figura etimologica

Retorica

Accostamento di parole in enunciati consecutivi che hanno la stessa radice: vivere la propria vita. Amor che a nullo amato amar perdona, (Dante). poliptoto.

futuro

Grammatica

Nel verbo essere si trova fino all’800 il poetismo fia o fie =sarà e fiano o fieno= saranno. Almeno fino al ‘700 sono in uso nella lingua poetica alcuni futuri sincopati diversi da quelli comunemente accettati (avrò, saprò): chiudrà = chiuderà, rendrà = renderà. sincope.

G

gallicismi/provenzalismi

Lessico

Le molte espressioni assunte dalla lingua d’oc, sviluppatasi in Provenza, o più in generale dal francese. L’influenza provenzale è molto forte nel ‘200 e ‘300 e si rispecchia nell’introduzione di singoli vocaboli (termini astratti quali pensiero, coraggio; guardare nel senso di proteggere; in generale i termini attinenti alla cavalleria: dama, messere, alla moda, ecc.), ma anche nella predilezione per certi suffissi (-anza/-enza: distanza, temenza; -ura: freddura; -ore: bellore; -aggio: visaggio) o di certe locuzioni (tener mente) e strutture. Vanno considerati provenzalismi specializzati poeticamente periglio = pericolo, speglio = specchio, veglio = vecchio. Soprattutto periglio con l’aggettivo periglioso sono diffusi in poesia fino a tutto il ‘900, anche per motivi metrici. Nel ‘700 nuovamente molti francesismi verranno introdotti nell’italiano, soprattutto nel campo della politica e della filosofia.

gire/ire

Lessico

Attestato fino al ‘900 come forma poetica di andare. Alcuni esempi di coniugazione: gite/ite = presente indicativo e imperativo, giva o gia= imperfetto di 1a e 3a p., gisti/isti = passato remoto 2a p., gissi = congiuntivo imperfetto 1a p., gito/ito participio.

gn/ng

Grammatica

Per i verbi con radice latina –nio nell’indicativo e congiuntivo presente troviamo l’alternanza tra gn e ng. Vegno/vengo, tegno/tengo. Altri verbi, per esempio raggiungere si comportano analogamente per estensione analogica.

grafia

Grammatica

Nei primi secoli del volgare alcuni fonemi vennero scritti in modo diverso, a seconda dell’intenzione arcaizzante e della regione di provenienza di chi scriveva. A partire dal ‘500, con il diffondersi della stampa, vengono definite man mano delle norme grafiche. Alcuni esempi di variazioni. Il nesso –tio, -tia presente in parole di origine latina ebbe diverse realizzazioni per es.: vitio/vicio/vizio, gratia/grazia. Oscillazioni anche nel caso di x: exemplo/essemplo/esempio. L’acca poteva comparire per indicare il suono velare (chosa) e in quanto h etimologica (homo, allhora, have). Solo nel ‘500 si propose di distinguere tra v e u, precedentemente, come in latino, esisteva solo la grafia v. Tipiche di testi dell’area settentrionale le grafie di c per z sorda /ts/(anci=anzi) e x per s sonora /z/ (caxo=caso, xe=è). Inoltre vengono introdotti più e nuovi segni di interpunzione. Per la prima volta nell’edizione del Canzoniere di Petrarca, curata da Pietro Bembo per l’editore Aldo Manuzio (edizione aldina), compaiono l’apostrofo e il punto e virgola. j.

guardo

Lessico

Allotropo letterario, usato in poesia fino all’800 con il significato di sguardo: Fermar ne le figure il guardo intento (Tasso) o di vista: questa siepe / che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude (Leopardi)

guari

Lessico

Avverbio di origine provenzale usato prevalentemente in espressioni negative con il senso di molto. Or non è guari (Boccaccio). Già a partire dal ‘400 fu sentito come arcaizzante.

H

h etimologica

Grammatica

Fino alla fine del ‘600 è possibile in alcune parole l’uso di h come marca etimologica per segnalare la derivazione dal latino, per cui molti autori preferiscono, come voleva Ariosto, huomo a uomo. In seguito l’uso di h etimologica viene ristretto alle voci del verbo avere (ho, hai, ha, hanno).

I

imago

Lessico

O immago. Immagine. Allotropo aulico, derivato dal nominativo latino, vitale nella lingua poetica fino ai primi del ‘900. Accanto a imago e immago esiste anche un ulteriore allotropo poetico, imagine. doppie e scempie.

imitatio

Retorica

Nella lirica italiana l’allusività ai classici sia latini sia volgari è voluta ed esibita. L’imitazione dei modelli classici, che andava dalla precisa citazione, alla ripresa con variazione (variatio), alla ripresa con aggiunta (amplificatio), viene vista come legittimazione per inserirsi nella tradizione.

imperfetto congiuntivo

Grammatica

La 1a p. può essere in –i o anche in –e; avesse = avessi. Accanto alla 6 a p. -assero, -essero, -issero si ha -assono, -essono, -issono (partissero/ partissono).

imperfetto indicativo

Grammatica

Forme in -a, -ea, -ia, -eano, -iano. Si conserva a lungo nella lingua letteraria la forma con la 1a p. in –a (io stava). Abitualmente, per effetto della scomparsa della labiodentale /v/, a queste si affiancano soprattutto nella seconda, ma anche nella terza coniugazione, le forme del tipo avea, sentia, identiche nella 1a e nella 3a p., (per cui avea = avevo/ aveva, sentia = sentivo/ sentiva). Ad esse corrispondono nella 6a p. aveano, sentiano (= avevano, sentivano). Non dura oltre il ‘500, se non occasionalmente in poesia, la forma analoga di 2a p. in -ei del tipo potei (= potevi), così come è poco usata la forma in -eamo della 4a p. dei verbi in -ere, del tipo diceamo (= dicevamo).

in su

Grammatica

La locuzione in su è largamente usata sia in prosa che in poesia fino all’800. Poteva avere vari significati: temporale indeterminato (come oggi su: ci vediamo sulle tre): in sulla mezza terza (Boccaccio) e locativo: D’in su la vetta della torre antica (Leopardi).

indefiniti

Grammatica

Tra le forme di aggettivi e pronomi indefiniti oggi desuete, ma frequenti nell’italiano letterario, ricordiamo: veruno, nullo, niuno = alcuno, nessuno (amor che a nullo amato, Dante); qualche poteva essere concordato anche con il plurale: qualche cose; frequenti le forme apocopate; tal, qual; qual qui, qual là = chi ...chi; alcuno al singolare e non accompagnato da negazione = qualche (in compagnia d’alcuna ninfa, Poliziano); altrui si incontra frequentemente anche in funzione pronominale (come altrui piacque, Dante); qualsivoglia, quale che si fosse = chiunque fosse; cadauno, catuno, ciascheduno = ciascuno; cotanto = così grande e cotale = simile, entrambi anche al plurale (Tra li ladron trovai cinque cotali, Dante); persona, uomo, om, nel senso impersonale, come il francese on.

indi

Lessico

a) Avverbio di moto da luogo (=da lì), usato però spesso come congiunzione conclusiva, come quindi; b) avverbio di tempo = poi.

infinito sincopato

Grammatica

Sono infiniti che nella derivazione dal latino subiscono una sincope che dà luogo a un raddoppiamento come porre <ponere, trarre<trahere. Nell’italiano antico troviamo alcuni infiniti sincopati poi espulsi dalla lingua, ma che in alcuni casi si registrano nei testi letterari fino all’inizio del ‘900: torre = togliere, sciorre = sciogliere, còrre e raccorre = cogliere e raccogliere. sincope.

innante

Lessico

Innanzi. Si trova anche nelle varianti specializzate poeticamente: inante, inanzi, innanti, o, con aferesi, nanti e nanzi. Ha significato sia locativo che temporale.

interiezioni

Grammatica

Alcune interiezioni o esclamazioni (anche avverbi o congiunzioni posti in apertura di frase) sono di uso quasi esclusivamente letterario. Tra esse ricordiamo quelle esortative: orsù, ordunque, orbene, suvvia, deh. Altre si usano per esprimere rammarico o commiserazione: ahi, ohimè/oimè, ahimè, ahinoi, lasso, ahi lasso/a. Veh/ve' (forma apocopata dell' imperativo vedi) è usata per richiamare l'attenzione o mettere in guardia. Per esprimere sorpresa, disapprovazione, sgomento: oh! ah! Ohibò, oh ciel(o).

iperbato

Retorica

Due elementi strettamente connessi (sostantivo e aggettivo, verbo e predicato) vengono separati tramite l’inserzione di altri elementi del discorso. O belle agli occhi miei tende latine (Tasso). anastrofe.

iperbole

Retorica

Esagerazione; di solito in forma di paragone volutamente inverosimile. È una figura retorica molto usata anche nel parlato (Ho una fame che mangerei un bue!), ma frequente anche in letteratura, particolarmente amata nell’epoca barocca.

ipotassi

Grammatica

Periodare ricco di proposizioni subordinate. Si contrappone alla paratassi, dove prevalgono le coordinate.

ironia

Retorica

Figura logica per cui si afferma una cosa intendendo in realtà il contrario. È figura che ricorre in particolare nella commedia.

ivi/quivi

Lessico

Avverbio di luogo marcatamente letterario: lì, in quel luogo. Raramente anche avverbio di tempo: in quel momento, allora. Come sostantivo quivi poteva significare anche questo luogo: domandò come quivi si chiamasse (Boccaccio)

J

j

Grammatica

Questo grafema è stato usato, ma non regolarmente, fino all’inizio del ‘900 per indicare la semiconsonante /j/ in posizione iniziale o intervocalica: giojelli, jeri e, sistematicamente, per il plurale dei nomi in –io: studio/studj. Oggi si conserva solo in posizione iniziale in alcuni toponimi: Jesolo, Jonio.

L

lasso

Lessico

Aggettivo esclamativo, spesso in combinazione con il pronome personale (me lasso! = povero me!, ohimè!), con significato di commiserazione. interiezioni.

latinismi

Lessico

Termini assunti dal latino. Oltre alla diretta derivazione dal latino per quanto riguarda il piano fono-morfologico e alla persistenza dell’origine latina nella grafia dei primi secoli (et, homo, benedictione, essemplo, gratia), con latinismo si intende soprattutto la derivazione etimologica di molti lemmi (latinismo semantico), come per es.: appropinquare, nullo, gli aggettivi in –abile, laudabile e in –ondo, profondo. Spesso, nei primi secoli del volgare, la variante più vicina al latino e quella volgare coesistono (volontate/volontà, arbor/albero, ariento/argento), la variante latina è dotta e sentita come più adatta ad uno stile alto. Nel ‘400 e ‘500 la riscoperta dei classici dà nuovo vigore al latino, che continua ad essere la lingua adottata in molti generi letterari. Nei testi in volgare si incontrano a volte degli avverbi che mantengono completamente la forma latina originaria (latinismo crudo): maxime = soprattutto (frequente nella lingua cancelleresca adottata da Machiavelli), etiam e etiandio = anche.

licore

Lessico

Così come in latino licore, o liquore, indicava una sostanza liquida in generale: rugiadosi licori, Marino.

litote

Retorica

Negazione di un concetto per affermare in realtà il contrario. Non è una bellezza.

loco

Lessico

Luogo, allotropo monottongato più vicino al latino <locus. Ampiamente diffuso sia in prosa che in poesia.

locus amoenus

Retorica

Paesaggio ideale (l’Eden, l’Arcadia) descritto secondo un canone specifico, con caratteristiche immutabili, mutuate dalla tradizione classica: ombra, brezza, fonte o ruscello, prati e fiori, boschetto ecc.

M

madonna

Lessico

Epiteto con cui fino al Rinascimento ci si rivolgeva con rispetto a una donna, generalmente sposata. Sincope da mia donna, cioè mia signora (v. francese madame). Per ulteriore sincope si formò anche la variante monna, diffusa soprattutto in area toscana.

madrigale

Metrica

Breve componimento poetico per musica elaborato nel ‘300, composto da terzine e concluso da uno o due distici o da un verso isolato. Ha schemi di rime variabili. Noti soprattutto i quattro madrigali inclusi da Petrarca nel Canzoniere. Nel ‘500 diventa una libera mescolanza di endecasillabi e settenari su tema amoroso. Nel tardo ‘500 e nel ‘600 il madrigale accompagnato dalla musica divenne di gran moda. Monteverdi compose madrigali anche su testi di Tasso o Marino.

melodramma

Retorica

Genere teatrale destinato alla trascrizione musicale. Il melodramma settecentesco contiene zone a versificazione libera con alternanza di versi endecasillabie settenari (il recitativo) e zone più propriamente liriche (le arie) nella forma breve dell’ode o canzonetta.

messere

Lessico

Spesso apocopato soprattutto in posizione proclitica: messer. Diffusissimo nell’italiano antico, sia come titolo di importanza che nell’ambito familiare: madonna, ecco messer che torna (Boccaccio). gallicismi/provenzalismi.

metafora

Retorica

Sostituzione di una parola con un’altra che abbia con la prima un rapporto di somiglianza. Si può definire anche un paragone senza il primo termine, per cui quel ragazzo è pauroso come un coniglio diventa quel ragazzo è un coniglio. metonimia, similitudine, sineddoche.

metatesi

Fonetica

Spostamento di un suono o gruppi di suoni all’interno di una parola. La metatesi si verifica per esempio in sempre, dal latino semper, oppure in drento, spengere forme arcaiche e popolari di dentro e spegnere.

metonimia

Retorica

Sostituzione di una parola con un’altra che abbia con la prima un rapporto di causalità o interdipendenza logica o materiale che non sia di inclusione reciproca. Tipici rapporti di metonimia: causa/effetto: papaveri tenaci (Parini) = sonno tenace causato dall’oppio del papavero; astratto/concreto: la gioventù d’oggi = i giovani d’oggi; contenente/contenuto: bere un bicchiere = bere un bicchiere di vino. metafora, sineddoche.

mirare

Lessico

Guardare attentamente. Verbo frequentissimo nella tradizione lirica italiana, attestato dalle origini, mostrasi sí piacente a chi la mira (Dante), fino a tutto l’Ottocento (sedendo e mirando (Leopardi).

monottongazione

Fonetica

Riduzione di un dittongo a singola vocale. Le forme monottongate erano sentite come più nobili. È un tratto caratteristico della lingua poetica che permane fino all’inizio del ‘900. Riguarda soprattutto il dittongo uo > o ed è frequentissima per certi vocaboli: cor = cuore, foco = fuoco, move = muove; meno frequente ie > e: tene = tiene, fero = fiero. Il dittongo dopo occlusiva + liquida (cioè dopo il gruppi consonantici tr-, pr-, br-, come per esempio in: truovo, priego, brieve, ecc.) era caratteristico del fiorentino antico, poi progressivamente abbandonato viene ripristinato da Bembo.

N

nol/no'l

Grammatica, Fonetica

Non lo, sincope di negazione + pronome. Diffuso fino all’ 800 soprattutto in poesia ma anche in prosa.

numerali

Lessico

Molte le varianti del 10 e del 2: oltre a due abbiamo duo, dal fiorentino, specializzato in poesia, dui, sicilianismo, e dua, toscanismo. A dieci si affianca diece, considerato già nel ‘500 arcaico. Fortunata la forma toscana dugento = duecento, diffusa nell’italiano per molti secoli e in poesia fino al ‘900. Fra i numerali ordinali va menzionato primiero/primero, vivo come poetismo fino al ‘900. Il plurale di mille è oggi mila, anticamente invece milia.

O

onde/donde

Lessico

a) avverbio di luogo = da dove; b) avverbio con valore relativo (scala o porta … donde andar se ne potesse, Boccaccio); c) congiunzione conclusiva, = perciò, o finale = affinché; d) valore preposizionale in combinazione con infinito = per (onde evitare).

opra

Lessico

Allotropo sincopato (<opera) largamente usato in poesia per il suo peso in sede metrica. Sia opra che oprare sono usati fino al primo '900. Diffusa anche la variante ovra.

ossimoro

Retorica

Accostamento diretto di due parole di senso opposto, di solito un determinato (soggetto, verbo, sostantivo) e un determinante (aggettivo, avverbio, predicato), oppure di due determinati coordinati, caso in cui l’ossimoro è più debole e si avvicina all’ antitesi. questo mio viver dolce amaro (Petrarca).

ottava

Metrica

Strofa di otto versi endecasillabi. Di solito i primi sei versi sono in rima alternata e gli ultimi due in rima baciata. È il metro tipico del poema epico. rima

P

parasintetici

Grammatica

Tipo di verbi che si formano aggiungendo un prefisso e un suffisso alla radice sostantivale o aggettivale. immedesimarsi, scartare. Dante, nella Commedia, inventa molti verbi parasintetici: intuarsi, dirocciarsi.

paratassi

Grammatica

Periodare caratterizzato da una sequenza di proposizioni coordinate. ipotassi.

paronomasia

Retorica

Avvicinamento di parole simili per suono ma diverse per significato: O mia dorata, et adorata Dea (Marino). allitterazione, assonanza, consonanza.

passato remoto

Grammatica

Tra le forme che più frequentemente si discostano dall’uso moderno indichiamo: verbo essere: fusti = fosti, fue= fu, fuste = foste, furo= furono. Nel toscano antico, per es. in Dante, la 6 a p. aveva anche le forme foro e fuoro. Verbo avere: ebbimo= avemmo. Tutte le coniugazioni presentano nella lingua letteraria fino all’800 le forme in –ro per la 6 ap.: amaro, potero, sentiro. Altre forme tipiche di 6 a p. quelle sincopate in –arno, -erno, –irno: portarno, perderno, sentirno (= portarono, perderono, sentirono) e, in poesia almeno fino al ‘500, le forme in –ono come dissono= dissero, anche apocopate come fecion= fecero. Rara la 6 a p. della 1 coniugazione in –orono (peccorono, Machiavelli). Nella 2. e 3. coniugazione fino al ‘600 si trovano in poesia come arcaismo le forme di 3 a p. del tipo partio= partì. Da notare in particolare feo= fece, gìo = andò, da gire/ire.

per

Grammatica

Preposizione. Si richiede a volte attenzione nella lettura per la sua corretta interpretazione, per distinguerne le diverse funzioni: finale, causale, limitativa e locativo-spaziale, come in: Per me si va ne la città dolente (Dante). Nell’italiano antico aveva anche la funzione di complemento d’agente, su modello del francese par: per la Reina e per tutti fu un gran romore udito che per le fanti e famigliari si faceva in cucina (Boccaccio). Frequenti sia in prosa che in poesia le forme sintetiche pel, pei = per il, per i.

perifrasi

Retorica

Sostituzione del termine con una serie di termini che ne definiscono certe qualità. È realizzata soprattutto come metafora, metonimia o sineddoche, come allusione mitologica: essere tra le braccia di Morfeo = dormire, o come litote: non vedenti = ciechi. antonomasia. Frequente è la perifrasi con frase relativa: colui che fece per viltade il gran rifiuto (Dante).

personificazione

Retorica

Personificazione di un oggetto inanimato o di un concetto astratto: Pel campo errando va Morte crudele (Ariosto).

però

Lessico

Congiunzione. Mentre nell’italiano moderno ha valore avversativo (= ma), nell’italiano antico aveva soprattutto valore conclusivo (= perciò o infatti). Però che è usato come congiunzione causale = siccome. congiunzioni.

plurale/singolare

Lessico

Alcuni, pochi, sostantivi normalmente usati al singolare possono trovarsi, nel linguaggio poetico, al plurale: le chiome, i sereni (=il cielo sereno). Per sineddoche incontriamo anche il processo opposto, cioè il singolare per il plurale: il ciglio, l’occhio.

poliptoto

Retorica

Ripetizione di un vocabolo a breve distanza con funzioni sintattiche o flessionali diverse: cred’io ch’ei credette ch’io credesse (Dante).

polisindeto

Retorica

Iterazione della congiunzione con finalità espressive: et temo, et spero, ed ardo et son di ghiaccio (Petrarca).

poscia

Lessico

Poi, dopo. Molto usato in tutto l’italiano letterario fino all’800. avverbi di tempo

posposizione del verbo

Grammatica

Invece dell’ordine sintattico consueto in italiano di soggetto/verbo/oggetto si preferisce a volte, per evidenziare un elemento, posporre il verbo e anticipare l’oggetto. In poesia questa tendenza è molto forte e risponde a ragioni metriche o stilistiche, nella prosa in volgare il motivo è anche l’imitazione della costruzione latina. La donna amaramente e della sua prima sciagura e di questa seconda si dolse molto. (Boccaccio)Frequentissima è anche, nel caso dei tempi composti, la posposizione dell'ausiliare: Lisabetta,..., la quale,..., ancora maritata non aveano. (Boccaccio). anastrofe, iperbato.

possessivi

Grammatica

In poesia si incontrano forme apocopate del possessivo: su’, mi’. Anche nell’uso o meno del dittongo ci sono variazioni: suoi/soi, miei/mei. Non sempre il possessivo è preceduto dall’articolo: ivi pon sua insegna (Petrarca). A volte viene posposto al sostantivo: per ch’a la vista mia (Dante). Nel toscano quattrocentesco troviamo il possessivo senza accordo: mia pensieri (Poliziano). Arcaica l’enclisi del possessivo dopo i nomi di parenti, ancora diffusa nei dialetti meridionali: matrema = mia madre, soreta = tua sorella.

potere

Grammatica

Nell’indicativo presente ha avuto lungo corso (fino a tutto l’800) la 3a persona puote. Meno diffusa, invece, ricalcata su vuole, la forma puole, tipica del toscano, ugualmente rare pò, pote; per la 4a p. si registrano potiamo, potemo; La 6a persona prevedeva anche le forme ponno e puonno, anch’esse usate a lungo nella lingua letteraria. Dell’imperfetto ricordiamo la 6a p. possevano. Si trovano anche alcuni esempi di uso non sincopato del futuro e condizionale: non poterebbe farne posar una (Dante). Il condizionale, inoltre, presenta nella 3a persona anche le forme poterebbe, porrebbe, potria e, spiccatamente poetico, poria e poteria.. Frequente la forma del gerundio possendo, più raro il participio possuto.

preposizioni articolate

Grammatica

Fino a tutto l’800 le forme analitiche (de la, da i, a lo ecc.), che sono predominanti in Dante e Petrarca, resistono accanto a quelle sintetiche (della, dai, allo). Forme analitiche e sintetiche si possono trovare anche nello stesso autore o componimento (ne la dolce ombra al suono de l’acque scriva. Petrarca). Nella lingua poetica si trovano ugualmente a lungo le forme apocopate del maschile plurale: a’, de’, da’, co’, su’, e, più anticamente, pe’, tra’. Al contrario di oggi, si incontra spesso la fusione di per + art.> pel.

presente congiuntivo

Grammatica

Forme arcaizzanti sono considerate già nel ‘500 quelle di 2 a e 3a p. in –e : stime (Stampa) = stimi. Per attrazione della prima coniugazione, si possono trovare fino all’800 anche in prosa nelle prime tre persone e nella 6a p. forme in –i: che tu non possi, che tu non sappi (Leopardi). Oggi il tipo venghi, venghino è considerato un grave errore ed è usato solo in senso scherzoso. Nel fiorentino antico la 4a p. accanto alla forma in –iamo presenta anche le uscite in -amo, -emo, -imo, per cui troviamo in Petrarca: avemo, semo. Queste forme sono considerate arcaiche rispetto a quelle in –iamo già dal ‘500 e si fissano in poesia. Solo avemo è documentato, esclusivamente in poesia, fino all’800.

presente indicativo

Grammatica

Nel fiorentino antico si incontra la 2a p. della prima coniugazione in –e, ma, per attrazione con le altre coniugazioni passa già nel ‘300 a –i. La 4a p.: alla forma poi affermatasi in –iamo, si affiancano anche le forme in –amo, --emo, -imo,(parlamo, perdemo, sentimo) sempre più rare dal ‘500 in poi. Lo stesso dicasi per la 6a p. in –ono, (amono). avere, essere, -eggio/-aggio, dovere, potere, volere.

pria

Lessico

Prima. Ebbe lunga vita in poesia ma fu usato anche in prosa fino all’800. avverbi di tempo.

proemio

Retorica

Nel poema epico cavalleresco rappresenta un tipo di esordio codificato che include vari topoi come la protasi (cioè l’enunciazione della tesi), l’esposizione dell’argomento, l’invocazione alle muse, la dedica.

pronomi comitativi

Grammatica

Per esprimere il complemento di compagnia con i pronomi sono in uso fino al ‘900 sia in prosa che in poesia anche le forme derivate dal latino meco, teco, seco = con me, con te, con sé. Arcaiche e rare le forme nosco, vosco e secoloro = con noi, con voi, con loro, attive solo nei primi secoli e dopo usate come marche arcaizzanti. Diffuse nel ‘700 e nei classicisti le forme seco + pronome del tipo seco lui o secolui. Arcaiche anche le forme ridondanti con meco, con teco : I miei figliuoli/ ch’eran con meco (Dante)

pronomi personali

Grammatica

Oltre alle forme attuali del pronome maschile egli, esso, lui, essi, loro nell’italiano letterario, fino all’800, ricorrono anche: ei, e’ (= egli/essi). Arcaico è anche l'uso di esso davanti a un pronome personale con funzione rafforzativa: un'offesa fatta a essolui (Vico). In poesia per la 1a.p. si può avere i’ = io. In funzione di oggetto, accanto a lo, compaiono il e‘l: Lo va cercando; il prese; a torto ‘l lasci morire. (Ariosto). Per la 4a p. oltre al clitico ci, si incontra anche ne. Nella clausola, caratteristica del toscano, egli/elli/gli è che..., il pronome ha funzione di neutro. L’allocutivo di cortesia è il voi:“Messere, voi sapete...” (Boccaccio). Ampia diffusione hanno i latinismi meco, teco, seco, pronomi comitativi. In presenza di due pronomi atoni, accanto alla sequenza odierna dat./acc. (te lo dico) troviamo anche acc./dat. (lo ti dissi). Diffuso fino all’800 è l’uso dei pronomi, come proclitici, prima di un infinito, per lei seguire (Poliziano), soprattutto se accompagnato dalla negazione: debbe uno principe non si curare (Machiavelli) e di un gerundio.

Nel toscano quattro e cinquecentesco in particolare il pronome personale è presente anche come soggetto laddove l’italiano moderno lo omette: dove vuoi tu che io vadia ora? (Machiavelli).

pronomi relativi

Grammatica

Non infrequente quale non preceduto dall’articolo. Il quale/la quale in funzione di soggetto e oggetto sono spesso preferiti a che. D’altro lato che può trovarsi al posto di un complemento indiretto (l’ora che gli parlai), anche preceduto da preposizione: il luogo in che mi trovai. Nella prosa i relativi si incontrano anche all’inizio di una frase principale (coniunctio relativa):...e massimamente Dioneo, al quale solo per la presente giornata restava il novellare. Il quale, dopo molte commendazioni di quella fatte, disse: (Boccaccio). cui.

pronomi riflessivi

Grammatica

Alcuni verbi intransitivi, per esempio essere, partire, stare, potevano essere coniugati in forma pronominale, erano cioè accompagnati da un pronome riflessivo; essersi, partirsi, starsi (diatesi media). D’altro lato, verbi usati oggi con il riflessivo, si incontrano nei testi antichi anche senza: stupì, meravigliò. A volte l’ausiliare usato nella coniugazione dei riflessivi era avere: s’aveva mosso.

prostesi

Fonetica

Aggiunta di un fonema davanti a parola che comincia per s + consonate ed è preceduta da sillaba terminante in consonante. Oggi sopravvive in poche espressioni, per esempio: per iscritto o in Isvizzera. Spesso è un regionalismo. Nell’italiano antico può portare a forme come istesso. aferesi, epitesi.

R

ragionare

Lessico

Nel significato di parlare, discutere questo verbo ricorre spesso nei testi trecenteschi, ma anche nei secoli successivi, sia in poesia che in prosa.

rai

Lessico

Forma poetica di origine provenzale del plurale raggi, può avere anche il significato di occhi: chinati i rai fulminei (Manzoni). gallicismi/provenzalismi.

redire

Lessico

Ritornare. Dal latino <redire, si coniuga : io riedo, tu riedi ecc., cioè con forma dittongata in sede tonica. In poesia in uso fino all’800: Riede alla sua parca mensa/ fischiando il zappatore (Leopardi)

reina

Lessico

Allotropo di regina, diffusissimo in origine per influenza del provenzale è attestato in poesia fino a tutto l’800: quattro figlie ebbe, e ciascuna reina (Dante).

rima

Metrica

A seconda della combinazione delle sillabe in fine di verso si distinguono vari tipi di rima. Le più comuni sono: rima baciata (AABB), rima alternata (ABAB), rima incrociata (ABBA), rima incatenata (ABA BCB CDC ecc.) che è il metro della terzina nella Divina Commedia, rima replicata (ABC ABC) per esempio nelle terzine di un sonetto . Rima siciliana: rima imperfetta di e chiusa con i e di o chiusa con u, conseguenza del diverso sistema vocalico del siciliano rispetto al toscano. La rima imperfetta che si crea accostando queste forme è nota appunto come rima siciliana (dire/vedere, croce /conduce), ma fu sentita già da Petrarca come arcaizzante. La rima di gran lunga più frequente è quella piana, cioè tra parole accentate sulla penultima sillaba (amore/dolore). Rare sono le rime sdrucciole (accento sulla terzultima: fremere/gemere), sentite come popolaresche, e le rime tronche (accento sull’ultima sillaba: cuor/amor, dì/così).

rio

Lessico

Forma arcaica in tutti i suoi vari significati e funzioni. Aggettivo marcatamente poetico rispetto all’allotropo reo, usato anche con il significato di avverso, fino a tutto l’800. Scompare prima, invece, come sostantivo neutro, con il senso di colpa, peccato. Anche l’omografo = ruscello (dal latino <rivum) è specializzato come forma poetica.

S

scòrto

Lessico

Accorto, chiaro. Letterario sia nell’uso come aggettivo che come avverbio.

sembiante/sembianza

Lessico

Sostantivi sinonimi che indicano: 1) l’aspetto fisico, di una persona: l'angelica sembianza (Petrarca), riconobbe, quantunque di lontano, l’angelico sembiante e quel bel volto (Ariosto); 2) l’espressione del volto: con sembiante turbato un dì le disse (Boccaccio). Sembiante può avere funzione di aggettivo, nel senso di simile a: a l’acute piramidi sembiante (Tasso) gallicismi/provenzalismi.

senhal

Retorica

Figura retorica vicina al simbolo e all’allegoria, giocata su una forma di paronomasia per cui nell’opera di un poeta ritornano due o tre parole assonanti, ruotanti attorno a un motivo. Il più famoso senhal della tradizione italiana si trova nel Canzoniere di Petrarca: Laura, lauro, l’aura: il motivo della donna amata e della gloria poetica si intrecciano e rimandano l’uno all’altro.

sicilianismi

Lessico

Prestiti, lessicali e morfologici, importati nel ‘200 dalla scuola siciliana nel volgare. L’influenza siciliana è evidente in certi suffissi: participio in –iso (miso, priso), altri suffissi in –anza e –ore (doglianza, bellore) furono mutuati dal provenzale. Questi sicilianismi si limitano al ‘300. Grande diffusione ebbe anche il condizionale in –ia (avria) che resistette fino all’800. Di breve durata invece l’adozione di coniugazioni sul modello di saccio = so, sentito ben presto come dialettale.

similitudine

Retorica

Paragone tra due termini introdotto solitamente da come, quale, più di. Come fanciul ch’a pena / volge la lingua e snoda, / che dir non sa, ma ‘l più tacer gli è noia, / così ‘l desir mi mena / a dire. (Petrarca)metafora.

sinalefe

Metrica

Fusione, a fini metrici, della vocale finale di una parola con quella iniziale della parola successiva. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono (Petrarca). dialefe, dieresi, sineresi.

sinchisi

Retorica

Modificazione dell'ordine normale della frase.

sincope

Fonetica

Caduta di un suono o di una sillaba all’interno di una parola: spirto = spirito, opra = opera, merto=merito. infinito sincopato.

sineddoche

Retorica

Sostituzione di una parola con un’altra che abbia con la prima un rapporto di ordine quantitativo, per esempio: la parte per il tutto e viceversa: vela = nave; il genere per la specie e viceversa: astro = sole; il plurale per il singolare e viceversa: l’uomo = gli uomini; il materiale per l’oggetto: ferro = spada. metonimia.

sistole

Metrica

Arretramento dell’accento usato in poesia per ragioni metriche: pièta invece di pietà. diastole.

sonetto

Metrica

Componimento di 14 versi endecasillabi. Si suddivide in due quartine e due terzine. La rima più comune è quella incrociata per le quartine e replicata per le terzine: ABBA ABBA CDE CDE. È la forma lirica privilegiata lungo tutto l’arco della tradizione poetica italiana. Si attribuisce la sua invenzione a Jacopo da Lentini, poeta della scuola siciliana. Il sonetto è stato ripreso anche da poeti del ‘900.

sovra

Lessico

L’alternanza sovra/sopra è da attribuire all’oscillazione nell’italiano antico tra forme con consonanti sorde e sonore, alcune delle quali si specializzano letterariamente o poeticamente. Fino al ‘900 sovra è usato in poesia, mentre viene sempre più espulso dalla prosa.

speme

Lessico

Allotropo letterario di speranza, dall’accusativo latino <spem. In uso fino all’800: Questo di tanta speme oggi mi resta (Foscolo)

spirto

Lessico

Spirito, forma sincopata diffusa soprattutto nella lirica fino a tutto l’800. sincope.

strofa

Metrica

Un certo numero di versi legati fra loro per mezzo della rima. Le strofe più comuni sono il distico, la terzina, la quartina, la sestina e l'ottava.

studio

Lessico

Nell’italiano letterario antico può avere vari significati, oltre a quello odierno: cura, impegno; inclinazione naturale; occupazione, attività; lavoro. La forma odierna del plurale è studi, ma fino all'inozio del '900 si incontrano anche studii, studj e studî. j.

Lessico

Forma arcaica di così, generalmente usata anche nel senso di tanto e in correlazione con come: sì lieta come bella (Dante).

T

terzina

Metrica

Gruppo di tre versi endecasillabi. Le terzine della Commedia sono legate da una rima incatenata ABA BCB CDC.

tosto

Lessico

Presto, subito, rapidamente, avverbi di tempo. Arcaico nella funzione di aggettivo col significato di veloce, rapido, precipitoso: mal fu la voglia tua sempre sì tosta.(Dante)

tragger

Lessico

Trarre. Oltre all’infinito troviamo anche le forme traggi (2a p.) e tragge (3a p.) diffusissime, anche nei composti ritragger, sottragger ecc. fino al primo ‘900.

transitivi/intransitivi

Grammatica

Nell’italiano antico alcuni verbi oggi esclusivamente intransitivi, venivano usati transitivamente, e coniugati con l’ausiliare avere. Per es. morire, usato nell’accezione di uccidere. Bisognare, oggi usato intransitivamente solo alla terza persona, veniva coniugato anche nelle altre persone: Almanacchi…Bisognano signore? (Leopardi).

U

uopo

Lessico

È d’uopo = è necessario.

V

vago

Lessico

a) aggettivo altamente poetico, equivalente a bello, di una bellezza suggestiva e indefinita, pieno di grazia, leggiadro. Uno degli attributi più ricorrenti nella lirica amorosa, soprattutto da Petrarca in poi. Si veda anche il sostantivo vaghezza. b) desideroso, colui che aspira a qualcosa, anche seguito da di + infinito. Ricordiamo anche il verbo vagheggiare = guardare con desiderio.

volere

Grammatica

assai diffusa la 1a p. dal toscano vo’, più rara vuo’; si ricordino anche la 3a p. vole e la 6a p. vonno. Limitate al ‘400 le forme della 2a p. del presente vuoli e vogli; Passato remoto: volsi, volse, volsero.

Z

zeugma

Retorica

Costrutto ellittico per cui un solo verbo regge due elementi non omogenei tra loro, per esempio un singolare e un plurale. La disomogeneità può anche essere semantica: parlare e lacrimar vedrai insieme (Dante). ellissi.