Carlo Goldoni, Il Bugiardo, 2, XIV, XV, XVI
Atto II
Scena XIV
Strada col terrazzino della casa del Dottore
FLORINDO: Brighella, son disperato.
BRIGHELLA: Per che causa?
FLORINDO: Ho inteso dire che il dottor Balanzoni voglia dar per moglie la signora Rosaura ad un marchese napolitano.
BRIGHELLA: *Da chi avì sentido a dir sta cossa?
FLORINDO: Dalla signora Beatrice sua sorella.
BRIGHELLA: Donca no bisogna perder più tempo. Bisogna che parlè, che ve dichiarè.
FLORINDO: Sì, Brighella, ho risolto spiegarmi.
BRIGHELLA: Sia ringrazià el cielo. Una volta ve vederò fursi contento.
FLORINDO: Ho composto un sonetto, e con questo penso di scoprirmi a Rosaura.
BRIGHELLA: Eh, *che no ghe vol sonetti. L'è mejo parlar in prosa.
FLORINDO: Il sonetto è bastantemente chiaro per farmi intendere.
BRIGHELLA: *Quando l'è chiaro, e che siora Rosaura el capissa, anca el sonetto pol servir. Possio sentirlo anca mi?
FLORINDO: Eccolo qui. Osserva come è scritto bene.
BRIGHELLA: No l'è miga scritto de vostro carattere.
FLORINDO: No, l'ho fatto scrivere.
BRIGHELLA: Perché mo l'avi fatto scriver da un altro?
FLORINDO: Acciò non si conosca la mia mano.
BRIGHELLA: *Ma no s'ha da saver che l'avi fatto vu?
FLORINDO: Senti, se può parlare più chiaramente di me.
Sonetto:
Idolo del mio cor, nume adorato
Per voi peno tacendo, e v'amo tanto
* Che temendo d'altrui vi voglia il fato
M'esce dagli occhi, e più dal cuore il pianto.
Io non son cavalier, né titolato,
Né ricchezze o tesori aver mi vanto
A me diede il destin mediocre stato,
Ed è l'industria mia tutto il mio vanto.
Io nacqui in Lombardia sott'altro cielo.
Mi vedete sovente a voi d'intorno.
Tacqui un tempo in mio danno, ed or mi svelo.
Sol per vostra cagion fo qui soggiorno.
A voi, Rosaura mia, noto è il mio zelo,
E il nome mio vi farò noto un giorno.
FLORINDO: Ah, che ne dici?
BRIGHELLA: L'è bello, l'è bello, ma nol spiega gnente.
FLORINDO: Come non spiega niente? Non parla chiaramente di me? La seconda quaderna mi dipinge esattamente. E poi, dicendo nel primo verso del primo terzetto: Io nacqui in Lombardia, non mi manifesto per bolognese?
BRIGHELLA: Lombardia è anca Milan, Bergamo, Bressa, Verona, Mantova, Modena e tante altre città. Come ala mo da indovinar, che voja dir bolognese?
FLORINDO: E questo verso: Mi vedete sovente a voi d'intorno, non dice espressamente che sono io?
BRIGHELLA: El pol esser qualchedun altro.
FLORINDO: Eh via, sei troppo sofistico. Il sonetto parla chiaro, e Rosaura l'intenderà.
BRIGHELLA: *Se ghel darì vu, la l'intenderà mejo.
FLORINDO: Io non glielo voglio dare.
BRIGHELLA: Donca come volì far?
FLORINDO: Ho pensato di gettarlo sul terrazzino. Lo troverà, lo leggerà, e capirà tutto.
BRIGHELLA: E se lo trova qualchedun altro?
FLORINDO: Chiunque lo troverà, lo farà leggere anche a Rosaura.
BRIGHELLA: No saria meio...
FLORINDO: Zitto; osserva come si fa. (Getta il sonetto sul terrazzino)
BRIGHELLA: *Pulito! Sè più franco de man, che de lengua.
FLORINDO: Parmi di vedere che venga gente sul terrazzino.
BRIGHELLA: Stemo qua a gòder la scena.
FLORINDO: Andiamo, andiamo. (parte)
BRIGHELLA: El parlerà, quando no ghe sarà più tempo. (parte)
Scena XV
COLOMBINA: Ho veduto venire un non so che sul terrazzino. Son curiosa sapere che cos'è. Oh! ecco un pezzo di carta. Che sia qualche lettera? (l'apre) Mi dispiace che so poco leggere. S, o, so; n, e, t, sonet, t, o, to, sonetto. È un sonetto. (verso la casa) Signora padrona, venite sul terrazzino. È stato gettato un sonetto.
ROSAURA: (viene sul terrazzino) Un sonetto? Chi l'ha gettato?
COLOMBINA: Non lo so. L'ho ritrovato a caso.
ROSAURA: Da' qui, lo leggerò volentieri.
COLOMBINA: Leggetelo, che poi lo farete sentire anche a me. Vado a stirare, sin tanto che il ferro è caldo. (parte)
ROSAURA: Lo leggerò con piacere. (legge piano)
Scena XVI
LELIO: Ecco la mia bella Rosaura; legge con grande attenzione: son curioso di saper cosa legga.
ROSAURA: (Questo sonetto ha delle espressioni, che mi sorprendono).
LELIO: Permette la signora Rosaura, ch'io abbia il vantaggio di riverirla?
ROSAURA: Oh perdonatemi, signor marchese, non vi aveva osservato.
LELIO: Che legge di bello? Poss'io saperlo?
ROSAURA: Ve lo dirò. Colombina mi ha chiamato sul terrazzino: ha ella ritrovato a caso questo sonetto, me lo ha consegnato, e lo trovo essere a me diretto.
LELIO: Sapete voi chi l'abbia fatto?
ROSAURA: Non vi è nome veruno.
LELIO: Conoscete il carattere?
ROSAURA: Nemmeno.
LELIO: Potete immaginarvi chi l'abbia composto?
ROSAURA: Questo è quello ch'io studio, e non l'indovino.
LELIO: È bello il sonetto?
ROSAURA: Mi par bellissimo.
LELIO: Non è un sonetto amoroso?
ROSAURA: Certo, egli parla d'amore. Un amante non può scrivere con maggior tenerezza.
LELIO: E ancor dubitate chi sia l'autore?
ROSAURA: Non me lo so figurare.
LELIO: Quello è un parto della mia musa.
ROSAURA: Voi avete composto questo sonetto?
LELIO: Io, sì, mia cara; non cesso mai di pensare ai varj modi di assicurarvi dell'amor mio.
ROSAURA: Voi mi fate stupire.
LELIO: Forse non mi credete capace di comporre un sonetto?
ROSAURA: Sì; ma non vi credeva in istato di scriver così.
LELIO: Non parla il sonetto d'un cuor che vi adora?
ROSAURA: Sentite i primi versi, e ditemi se il sonetto è vostro: Idolo del mio cor, nume adorato, per voi peno tacendo, e v'amo tanto...
LELIO: Oh, è mio senz'altro. Idolo del mio cor, nume adorato, per voi peno tacendo, e v'amo tanto. Sentite? Lo so a memoria.
ROSAURA: Ma perché tacendo, se jersera già mi parlaste?
LELIO: Non vi dissi la centesima parte delle mie pene. E poi è un anno che taccio: e posso dir ancora ch'io peno tacendo.
ROSAURA: Andiamo avanti; Che temendo d'altrui vi voglia il fato, M'esce dagli occhi, e più dal cuore il pianto. Chi mi vuole? Chi mi pretende?
LELIO: Solita gelosia degli amanti. Io non ho ancora parlato con vostro padre, non siete ancora mia, dubito sempre e dubitando io piango.
ROSAURA: Signor marchese, spiegatemi questi quattro versi bellissimi: Io non son cavalier, né titolato, Né ricchezze o tesori aver mi vanto; A me diede il destin mediocre stato, Ed è l'industria mia tutto il mio vanto.
LELIO: (Ora sì, che sono imbrogliato.)
ROSAURA: È vostro questo bel sonetto?
LELIO: Sì, signora, è mio. Il sincero e leale amore, che a voi mi lega, non mi ha permesso di tirar più a lungo una favola, *che poteva un giorno esser a voi di cordoglio, e a me di rossore. Non son cavaliere, non son titolato, è vero. Tale mi finsi per bizzarria, presentandomi a due sorelle, dalle quali non volevo esser conosciuto. Non volevo io avventurarmi così alla cieca senza prima esperimentare se potea lusingarmi della vostra inclinazione: ora che vi veggo pieghevole a' miei onesti desiri, e che vi spero amante, ho risoluto di dirvi il vero, e non avendo coraggio di farlo colla mia voce, prendo l'espediente di dirvelo in un sonetto. Non sono ricco, ma di mediocri fortune, ed esercitando in Napoli la nobil arte della mercatura, è vero che l'industria mia è tutto il mio vanto.
ROSAURA: Mi sorprende non poco la confessione che voi mi fate; dovrei licenziarvi dalla mia presenza, trovandovi menzognero; ma l'amore che ho concepito per voi, non me lo permette. Se siete un mercante comodo, non sarete un partito per me disprezzabile. Ma il resto del sonetto mi pone in maggiore curiosità. Lo finirò di leggere.
LELIO: (Che diavolo vi può essere di peggio!)
ROSAURA: Io nacqui in Lombardia sott'altro cielo. Come si adatta a voi questo verso, se siete napoletano?
LELIO: Napoli è una parte della Lombardia.
ROSAURA: Io non ho mai sentito dire, che il regno di Napoli si comprenda nella Lombardia.
LELIO: Perdonatemi, leggete le istorie, troverete che i Longobardi hanno occupata tutta l'Italia: e da per tutto dove hanno occupato i Longobardi, poeticamente si chiama Lombardia. (Con una donna posso passar per istorico.)
ROSAURA: Sarà come dite voi: andiamo avanti. Mi vedete sovente a voi d'intorno. Io non vi ho veduto altro che ieri sera: come potete dire, mi vedete sovente?
LELIO: Dice vedete?
ROSAURA: Così per l'appunto.
LELIO: È error di penna, deve dire vedrete; mi vedrete sovente a voi d'intorno.
ROSAURA: Tacqui un tempo in mio danno, ed or mi svelo.
LELIO: È un anno ch'io taccio, ora non posso più.
ROSAURA: All'ultima terzina.
LELIO: (Se n'esco, è un prodigio).
ROSAURA: Sol per vostra cagion fo qui soggiorno.
LELIO: Se non fosse per voi, sarei a quest'ora o in Londra, o in Portogallo. I miei affari lo richiedono, ma l'amor che ho per voi, mi trattiene in Venezia.
ROSAURA: A voi Rosaura mia, noto è il mio zelo.
LELIO: Questo verso non ha bisogno di spiegazione.
ROSAURA: Ne avrà bisogno l'ultimo. E il nome mio vi farò noto un giorno.
LELIO: Questo è il giorno, e questa è la spiegazione. Io non mi chiamo Asdrubale di Castel d'Oro, ma Ruggiero Pandolfi.
ROSAURA: Il sonetto non si può intendere, senza la spiegazione.
LELIO: I poeti sogliono servirsi del parlar figurato.
ROSAURA: Dunque avete finto anche il nome.
LELIO: Ieri sera era in aria di fingere.
ROSAURA: E stamane in che aria siete?
LELIO: Di dirvi sinceramente la verità.
ROSAURA: Posso credere che mi amiate senza finzione?
LELIO: Ardo per voi, né trovo pace senza la speranza di conseguirvi.
ROSAURA: Io non voglio essere soggetta a nuovi inganni. Spiegatevi col mio genitore. Datevi a lui a conoscere, e se egli acconsentirà, non saprò ricusarvi. Ancorché mi abbiate ingannata, non so disprezzarvi.
LELIO: Ma il vostro genitore dove lo posso ritrovare?
ROSAURA: Eccolo che viene.
1 son
Sono, apocope in funzione del parlato.
2 napolitano
Napoletano, alternanza vocalica in protonia
3 *
Parafrasi: da chi avete sentito dire questa cosa? La domanda di Brighella è in dialetto veneziano, come il resto delle sue battute.
4 dir
Poiché generalmente nel veneziano la vocale /e/ cade dopo le consonanti n, r, l, gli infiniti sono tutti apocopati.
5 sta
Questa.
6 Donca no
Dunque non.
7 parlè
Parlate/parliate (come il seguente dichiarè = dichiarate/dichiariate). La forma verbale apocopata nella quinta persona è tipica del veneziano.
8 ve
Vi. Al contrario che in italiano, nel veneziano spesso le forme atone del pronome finiscono in -e, quelle toniche in -i (cfr. Brighella quattro righe sotto: anca mi).
9 ho risolto
Ho deciso di.
10 el
Il. Forma del maschile singolare nel dialetto veneziano, come del resto nell’italiano antico non solo letterario fino al ‘400 – ‘500, articolo.
11 vederò
Vedrò. Speso il futuro nel dialetto veneziano non è sincopato.
12 fursi
Forse.
13 *
Non ci vogliono mica sonetti.
14 L'è mejo
È meglio. Tipico del dialetto è l’espressione del pronome soggetto (l’) in frasi impersonali.
15 bastantemente
Abbastanza.
16 *
Parafrasi: se è chiaro, e in modo che anche la signora Rosaura lo possa capire, anche il sonetto può servire. Posso sentirlo anche io?
17 siora
Signora.
18 miga
Mica.
19 de vostro carattere
Con la vostra scrittura
20 mo
Adesso.
21 Acciò
Affinché, nesso di uso letterario.
22 *
Ma non si deve sapere che l’avete fatto voi?
23 *
Che temendo che il fato vi voglia d’altrui, anastrofe.
24 industria
Operosità.
26 fo
Faccio, presente indicativo.
27 nol
Non, tipica negazione del dialetto veneziano.
28 gnente
Niente.
29 quaderna
Quartina.
30 terzetto
Terzina.
31 anca
Anche.
32 Bressa
Brescia.
33 Come ala mo da
Come potrà.
34 voja
Voglia.
35 pol
Può.
36 *
Se glielo darete voi, l’intenderà meglio.
37 *
Ottimo! Siete più svelto di mano che di lingua.
38 Parmi
Mi pare, enclisi pronominale.
39 Stemo
Stiamo.
40 no ghe
Non ci.
42 aveva
Avevo, imperfetto indicativo.
43 veruno
Alcuno, negazione tipicamente letteraria.
44 studio
Considero.
45 egli
Esso. Egli può essere riferito anche a cose o animali, anche se oggi quest’uso risulta arcaico, pronomi personali.
46 parto della mia musa
Usa una metafora molto comune.
48 istato
Stato, grado, prostesi.
49 jersera
Ieri sera.
50 *
Che un giorno avrebbe potuto far soffrire voi e far vergognare me.
51 esperimentare
Sperimentare.
52 potea
Potevo, imperfetto indicativo.
53 veggo
Vedo, -eggio/-aggio
55 vi spero amante
Spero che mi amiate.
56 risoluto
Risolto, deciso.
57 mercatura
Commercio.
58 comodo
Benestante.
59 mi pone in maggiore curiosità
Mi incuriosisce sncora di più.
60 si comprenda
Sia compreso.
62 era
Ero, imperfetto indicativo.
63 in aria
In vena.
64 conseguirvi
Avervi.
65 Datevi a lui a conoscere
Fatevi conoscere da lui, presentatevi a lui.